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Una meravigliosa apocalisse

Una meravigliosa apocalisse

24 Marzo 2025

di Maddalena Libertini

L’artista canadese Sabrina Ratté espone per la prima volta in Italia i suoi ecosistemi digitali, proiezioni affascinanti di un futuro in cui vegetale e sintetico, vivente e inorganico si fonderanno fino a diventare indissolubili

E se tra alcuni milioni di anni, secondo il principio di evoluzione cooperativa scoperto dalla biologa Lynn Margulis, ad abitare la Terra fossero nuovi organismi nati dall’unione di particelle organiche e di resti inorganici della nostra civiltà? E se sul pianeta gli esseri umani fossero scomparsi o se fossero dematerializzati in pure creature digitali? Sarebbe una prospettiva affascinante o spaventosa? Oppure entrambe le cose?

A proiettarci in questa ipotesi speculativa di futuro al MEET Digital Culture Center di Milano è la mostra Realia di Sabrina Ratté, artista canadese che usa video, suono, animazione 3D, realtà virtuale e intelligenza artificiale per costruire paesaggi digitali che si collocano al sottile confine tra utopia e distopia. Una creatrice di mondi iridescenti che si fondano sull’ambiguità dell’inestricabile convergenza tra natura e tecnologia di cui la nostra civiltà sta facendo esperienza in maniera massiccia e inedita rispetto alle epoche passate.

Negli spazi del primo centro internazionale per l’arte e la cultura digitale, nato nel 2018 con il supporto di Fondazione Cariplo, sono allestite quattro istallazioni sviluppate da Ratté tra il 2021 e il 2024, che nell’insieme compongono un’opera visiva in più atti di suggestione estetica e filosofica. Inflorescences e Plane of Incidence I e II mettono in scena la metamorfosi adattiva di oggetti in disuso che si innestano con piante e funghi, ibridandosi in una nuova materia mutante. Nel primo caso sono dispositivi tecnologici obsoleti, registratori VHS, lettori CD, vecchi computer; nel secondo una moto e una poltrona abbandonate, inglobate in un liquido primordiale: reperti archeologici dell’Antropocene assimilati dalla prossima era evolutiva. Cyberdelia impiega l’intelligenza artificiale rapportandola a un oracolo del nostro tempo: il visitatore può scegliere una delle 22 carte ispirate agli arcani maggiori dei tarocchi e posizionarla su un lettore. Nel video che si attiva, creato con l’AI, può cercare la risposta a una propria domanda interiore o un vaticinio sull’avvenire. Floralia è ospitata nella sala immersiva del MEET e trasla avanti nel tempo, all’interno di un erbario digitale – un catalogo di esemplari virtuali di specie botaniche ormai estinte – attraverso cui entrare in contatto con la natura in una dimensione immateriale ma con interferenze della memoria, quella umana e quella della pianta.

Abbiamo incontrato Sabrina Ratté a Milano e abbiamo approfondito con lei le tematiche toccate dalle sue opere, le sue ispirazioni e il suo modo di lavorare.

Partiamo da Inflorescences, che accoglie il pubblico all’inizio del percorso espositivo. A terra si trovano degli apparecchi tecnologici non più funzionanti, mentre nel video sulla parete oggetti simili vengono colonizzati da organismi vegetali.

Siamo assuefatti alla rapidità dell’obsolescenza della tecnologia e a come questi oggetti diventino facilmente rifiuti di cui non sappiamo più cosa farci. Lei immagina di dare loro una nuova vita.

Apprezzo la loro estetica e la cura con cui sono stati progettati, nonostante il loro ciclo di vita breve. Vengono creati con grande precisione, usati per pochi anni e poi scartati. Ho fatto molte ricerche sul loro riciclo ed è quasi impossibile: tutto è integrato, difficile da smontare. Questo lavoro immagina un futuro lontano, tra milioni di anni, quando l’umanità sarà scomparsa e nuovi ecosistemi potrebbero emergere a partire da questi rifiuti tecnologici che ci sono sopravvissuti. Ho voluto creare delle creature ibride, a metà tra plastica, metallo e organico. Ho anche realizzato una sorta di santuario con apparecchi recuperati qui a Milano, perché non mi sembrava coerente portarli da lontano, e li ho trasformati nella versione fisica di questa simulazione di futuro che si vede nel video. È anche un modo per restituire loro una forma di rispetto.

Come interviene la tecnologia nel suo processo creativo?

Utilizzo spesso la scansione 3D per catturare oggetti fisici e integrarli nei miei mondi digitali con un software di animazione 3D. Prediligo software open source come Blender, in linea con i miei valori. Sento la tecnologia come una continuazione della pittura. Ho l’impressione di dipingere con i pixel, con l’elettricità, persino di scolpire l’elettricità. Ho lavorato anche con sintetizzatori video analogici perché mi interessa molto l’evoluzione tecnologica e come ogni epoca della tecnologia porti nuova struttura all’immagine, permetta nuove creatività. In Cyberdelia ho usato l’intelligenza artificiale, ma in modo consapevole, cercando di mantenere la mia estetica e di non perdere il controllo sulla creazione dell’immagine.

In Cyberdelia ha applicato l’intelligenza artificiale al tema dei tarocchi, un tema che ha spesso ispirato anche gli artisti del Novecento e che è legato all’impulso dell’uomo di cercare risposta alle proprie domande in sistemi di simboli da interpretare.

Cyberdelia è nata nell’ambito di una residenza sull’intelligenza artificiale. Volevo esplorarla come mezzo di interpretazione e trasformazione, non solo come un algoritmo che elabora dati o come uno strumento minaccioso ed estraneo. Ho utilizzato immagini che avevo creato in precedenza e le ho fatte elaborare dall’intelligenza artificiale secondo una serie di parametri che potevo gestire. Mi interessava capire in che modo potesse trasformare il mio linguaggio visivo senza snaturarlo, mantenendo le mie scelte cromatiche e compositive ma introducendo anche elementi inaspettati. Quello che volevo fare con questo progetto era anche vedere l’intelligenza artificiale come un mezzo di divinazione tecnologica e, invece di averne paura, pensare a come possiamo appropriarcene perché diventi, forse, un modo per darci un’altra prospettiva su chi siamo e cosa vogliamo nella vita.

In Plan of incidence torna sul tema dei rifiuti esplorando il rapporto tra materialità, virtualità e spiritualità.

Questo dittico video è una riflessione su come percepiamo il confine tra il vivente e l’inanimato. Qual è la nostra definizione di ciò che è vivo? Gli oggetti possiedono una forma di vita che non comprendiamo? Sono dotati di agentività? Sono partita da una moto e da una poltrona, trovati per caso, scarti abbandonati per strada, oggetti che però erano stati in relazione intima con il corpo umano. Volevo rendere il concetto di rifiuto meno astratto, più personale. Li ho digitalizzati e ho mutato le loro “carcasse” in creature biologiche, sembrano fatti di carne e cartilagini. Ho lavorato anche sul suono per dare l’impressione che la moto stia respirando, come se l’anima del suo guidatore fosse ancora lì, in un rapporto simbiotico.

In Floralia immagina un futuro in cui la nostra coscienza sarà interamente digitalizzata, non avremo più un corpo e il nostro rapporto con la natura avverrà solo attraverso archivi digitali di piante e fiori scomparsi.

Floralia è una sorta di museo virtuale di un ecosistema perduto, dove le piante esistono solo come dati in una dimensione sospesa tra realtà e ricordo. Quasi tutto il mio lavoro sta in una dimensione liminale. Floralia è del 2021 e ha marcato un cambiamento nel mio stile, nella mia ricerca. Volevo affrontare le tematiche ecologiche in modo più diretto, ma in realtà mi stavo chiedendo dove sta andando l’uomo, dove sta andando il mondo. Questo è il punto per me, per questo ora preferisco ragionare in termini di ecosistemi. Anche la tecnologia ne fa parte. Credo che ciò che mi interessa sia proprio navigare tra quelli che percepiamo come estremi, opposti ma che in realtà sono interconnessi: l’esperienza materiale della vita rispetto a quella virtuale, ambiente naturale e artificiale, bellezza e rifiuto, la questione stessa di passato e futuro. In definitiva, sto cercando di navigare in una forma di ambiguità per cercare di abbracciare le dicotomie in cui viviamo.

Quanto è importante con il colore?

È un aspetto fondativo per il mio lavoro e, allo stesso tempo, è quello che mi è più difficile spiegare a parole. È soprattutto intuitivo ed è quello che mi motiva davvero quando creo un’immagine. Sono attratta da colori che stanno bene insieme, che creano tensione. Anche la luce è molto importante, è in relazione alla luce che scelgo i colori. Floralia è scuro, Plain of Incidence è molto luminoso, è più iridescente. Ciò che amo dell’iridescenza è proprio che è cangiante e ambigua. La si trova in natura nelle farfalle, in alcuni tipi di fiori ma fa pensare anche a materiali artificiali, a residui chimici, all’inquinamento.

Lei ha una formazione in cinema e per creare i suoi ecosistemi prende ispirazione da molteplici riferimenti culturali: il pensiero filosofico contemporaneo, gli studi scientifici di Lynn Margulis ma anche la letteratura di fantascienza di Greg Egan, Ursula K. Le Guin o del romanzo Annientamento di Jeff Vandermeer. Come si combinano tutte queste fonti?

Nella mia ricerca c’è un nucleo a cui mi avvicino da diverse prospettive. Per Floralia per esempio, ho letto i libri di Donna Haraway, in particolare Staying With the Trouble. Poi ho amato molto anche il concetto di “oggetto-mondo” di Michel Serres. Per me la spazzatura è un oggetto-mondo. Serres non l’ha scritto nel suo testo, ma sono sicura che sarebbe d’accordo. Ora sono più interessata alla magia, alla stregoneria, all’occulto. Ma credo che sia solo un modo diverso per approcciare le questioni dell’ecosistema e del nostro rapporto con la natura, dell’esistenza in generale. In fondo potremmo dire che anche Lynn Margulis era una strega, perché nella scienza c’è anche una forma di intuizione quasi magica sul mondo, sulla natura e sull’evoluzione.