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Un secolo di paesaggio italiano

Un secolo di paesaggio italiano

25 Febbraio 2025

Al Castello di Novara la mostra PAESAGGI. Realtà Impressione Simbolo celebra l’affermazione della pittura paesistica nell’Ottocento da genere minore a espressione privilegiata di nuove sensibilità artistiche.

 

“Possano i miei Quadri della natura fornire al lettore una parte del piacere che una mente ricettiva trova nella contemplazione della natura”. A scrivere queste parole all’inizio del XIX secolo è Alexander von Humboldt, figura eccezionale di esploratore, naturalista, geografo e botanico, considerato uno degli inventori dell’idea moderna di paesaggio. I suoi “quadri” non sono tele dipinte ma resoconti del suo viaggio in America Centrale e Meridionale, compiuto tra il 1799 e il 1804. Sebbene il suo intento fosse di promuovere la conoscenza scientifica andando oltre il predominio dell’arte, con questa frase ammetteva che l’attrazione per la natura nasceva proprio dal piacere dell’incanto estetico. Nel 1843 un altro influente personaggio, John Ruskin, nel suo Pittori Moderni, tentava di dimostrare la superiorità dei paesaggisti del suo secolo e la possibilità di trovare nel paesaggio e nella sua libertà “un nuovo senso per il genere umano”. Queste due figure molto diverse e con finalità diverse testimoniano la centralità del paesaggio nella cultura europea dell’Ottocento e la sua capacità di farsi portavoce di diverse valenze, scientifiche, artistiche, sociali, politiche. Sulla scia di Ruskin ma circa 100 anni dopo, lo storico dell’arte Kenneth Clark nel saggio “Landscape into Art” (1949) sosterrà che nell’Ottocento la pittura di paesaggio era divenuta la forma d’arte dominante. Oggi lo confermano le mostre dai titoli eloquenti, tre in Germania, Art for a New Age, Where it all started, Infinite Landscapes, e una al MET di New York, The Soul of Nature (in corso), che l’anno scorso hanno celebrato i 250 anni dalla nascita di Caspar David Friedrich, autore nel 1818 de Il viandante sul mare di nebbia, mentre quest’anno si preparano i festeggiamenti per la stessa ricorrenza di un altro gigante della rappresentazione della natura, William Turner.

 

Continuando l’esplorazione del XIX secolo, il ciclo di mostre al Castello di Novara organizzato dall’associazione METS Percorsi d’arte con il sostegno di Banco BPM arriva quindi giustamente a considerare questo genere artistico. PAESAGGI. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo (fino al 6 aprile), a cura di Elisabetta Chiodini, affronta in più di 70 opere il tema dell’evoluzione della pittura di paesaggio tra Piemonte e Lombardia dagli anni venti dell’Ottocento al primo decennio del Novecento. La focalizzazione su quest’area geografica non costituisce un limite perché in quel lasso di tempo essa può essere presa a osservatorio privilegiato di quanto stava accadendo, un laboratorio delle istanze che si stavano manifestando nella società moderna: lo sviluppo commerciale e industriale, le aspirazioni patriottiche e politiche, l’affermazione di nuovi ceti e, conseguentemente, il rinnovamento del gusto del pubblico. Era anche un crocevia di artisti di varie provenienze e una base da cui si muovevano verso altre parti d’Italia.

 

Dalla veduta dal vero al paesaggio come stato d’animo

È davvero variegato lo spettro delle valenze e il repertorio dei registri espressivi che si manifestano nella rappresentazione di un’altrettanto ampia gamma di paesaggi nell’arco di tempo osservato. La mostra di Novara li ripartisce in 10 sezioni tematiche che seguono anche la traccia del filo cronologico. Il punto d’ingresso è nei quadri del bergamasco Marco Gozzi, incaricato prima dall’amministrazione napoleonica, poi da quella austriaca di produrre “dal vero” delle vedute del territorio lombardo. Animate da un accento propagandistico e svincolate dalle convenzioni del bello ideale, incastonavano nel panorama naturale gli interventi infrastrutturali e le attività industriali che i nuovi governi sostenevano e che stavano plasmando il progresso nella regione. Nel novero di pochi anni a questa attitudine quasi documentaria e topografica si sostituiscono quella più attenta ai valori luministici e atmosferici di Giuseppe Bisi o quella della reinvenzione verosimile e minuziosa operata in studio di Giuseppe Migliara o, ancora, quella che si carica di sentimenti eroico patriottici con l’abbinamento a scene storiche di Massimo D’Azeglio. Nell’ambiente milanese della città frenetica e moderna il tempo più contemplativo della campagna si colora di una vena lirica che si ritrova parimenti nei panorami del Lago di Como da immortalati Alessandro Manzoni nelle sue pagine letterarie composte tra la domesticità urbana del palazzo meneghino e quella agreste della villa di Brisuglio.

 

Effetto di sole

È su queste ricerche che al sopraggiungere della metà del secolo si innestano gli influssi d’oltralpe dello svizzero Alexandre Calame e del tedesco Julius Lange e della pittura en plein air della scuola di Barbizon. Contagiano una nuova generazione di pittori che, sulla scia di Antonio Fontanesi, provano a imprimere nel quadro la disposizione d’animo suscitata dall’esperienza diretta della realtà della natura. Negli anni settanta si spingeranno a lavorare en plein air autori come Filippo Carcano ed Eugenio Gignous per fissare sulla tela “l’impressione del vero”. Intorno a loro si aggregherà la “scuola” del Naturalismo lombardo cercando di elaborare un nuovo linguaggio: in vedute di ampio respiro prevalentemente a sviluppo orizzontale, nella successione di piani o in inquadrature più ravvicinate, la presenza umana si integra in comunione armoniosa con lo spazio circostante, arrivando talvolta a fondersi nelle sfumature cromatiche delle pennellate veloci. In questo gruppo di artisti milita brevemente anche Giovanni Segantini prima che il suo talento si indirizzi verso altre strade. È in un suo paesaggio alpino del 1891, Mezzogiorno sulle Alpi, che le vibrazioni della luce che investono il cielo, le vette innevate, il pascolo, la pastorella e le pecore si scompongono nello sfarfallio ottico della tessitura divisionista in “armonie di forme, di linee, di colori e di suoni”, come riconosce lo stesso pittore. L’approdo dell’ultima sezione della mostra è proprio al paesaggio interpretato dagli esponenti del Divisionismo: con Segantini, ci sono Morbelli, Pellizza, Longoni, Fornara. Nella stesura filamentosa della loro pittura interviene un processo di sublimazione quasi alchemico che dota gli ambienti naturali conosciuti dal vero di una risonanza psicologica ed emotiva. Il passo è breve in alcuni casi per sconfinare nell’allegoria simbolista. La resa dei fenomeni atmosferici, delle albe e dei tramonti è scomposta nell’intensità dei toni aranciati, rosacei, azzurri, nei grafismi delle linee, nei controluce e nei chiaroscuri che aprono al nuovo secolo.

 

Le déjeuner in alta montagna

Banco BPM, oltre a essere main sponsor dell’associazione METS Percorsi d’arte, contribuisce alla mostra con un’opera della sua collezione d’arte. Per l’occasione, tra le circa 19mila opere conservate dal Patrimonio Artistico del gruppo bancario, è stato scelto “Il Lago del Mucrone”, un olio di Lorenzo Delleani. È nell’ultimo quarto dell’Ottocento che il pittore di Pollone Biellese imprime alla sua carriera una svolta paesista abbandonando la pittura accademica e il filone storico che aveva praticato con discreto successo. La sua fama, da quel momento, si lega invece soprattutto a tavolette di piccole dimensioni e ad alcune tele di formato maggiore, come quella esposta, che hanno per soggetto i dintorni a lui familiari: Oropa, Pollone, il monte Mucrone. Con la maturità dei suoi mezzi tecnici nelle tavolette fa prevalere la rapidità di esecuzione nervosa e graffiata che poi rifinisce con pennellini di precisione, mentre ne “Il Lago del Mucrone” del 1890 gli schizzi realizzati all’aperto vengono ricomposti con calma e cura nello studio. La composizione è determinata dallo scenario naturale del lago, situato a 1900 m di quota, e della montagna, dalle vette avvolte in nubi basse: la superficie dello specchio d’acqua alpino nel quale si riflette il profilo montuoso con i nevai si rastrema da sinistra verso destra lasciandosi contenere dalla concavità della sponda verdeggiante di prato. Qui in primo piano Delleani ambienta la rilassata colazione sull’erba di alcuni escursionisti e distribuisce altre figure su piani intermedi di profondità rendendole a mano a mano più indefinite e guidando lo sguardo dello spettatore lungo la curva della riva verso lo sfondo maestoso che prende il sopravvento.