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Il condottiero medievale Pietro Rossi torna a Pontremoli

Il condottiero medievale Pietro Rossi torna a Pontremoli

5 Settembre 2025

 

 

di Maddalena Libertini

Con i prestiti dei quadri romantici di Francesco Hayez da parte di Brera e Banca d’Italia, la Sala Sindaci del Palazzo Comunale di Pontremoli continua la sua attività di spazio espositivo.

Per la prima volta le tre versioni del Pietro Rossi nel Castello di Pontremoli di Francesco Hayez (Venezia 1791­–Milano 1882) si ritrovano insieme proprio nella cittadina in cui è ambientata la vicenda storica trecentesca che ha ispirato il pittore romantico. Due sono conservate a Milano, nella Pinacoteca e nell’Accademia di Brera, la terza fa parte della raccolta d’arte di Banca d’Italia. Fino al 2 novembre è possibile vederle e compararle nella Sala Sindaci della sede civica grazie alla sinergia tra il comune toscano e la pinacoteca braidense, che per l’iniziativa si sono avvalsi della curatela scientifica di Valentina Ferrari, Paolo Lapi e Fernando Mazzocca.

L’opera manifesto

Dei tre oli su tela esposti a Pontremoli, il primo a essere realizzato in ordine di tempo è quello conservato alla Pinacoteca di Brera e intitolato per esteso Pietro Rossi, signore di Parma, spogliato dei suoi domini dagli Scaligeri, signori di Verona, mentre è invitato al Castello di Pontremoli, di cui stava a difensore, ad assumere il comando dell’esercito veneto, il quale doveva muoversi contro i di lui propri nemici, viene scongiurato con lagrime dalla moglie e dalle due figlie a non accettare l’impresa. Come ricorda Fernando Mazzocca nel catalogo che accompagna la mostra, non è forse una delle opere più celebri di Hayez ma è quella che segna un passaggio fondamentale nella sua carriera: il progressivo abbandono del Classicismo in favore dell’adesione al Romanticismo Storico di cui produrrà alcuni dei massimi capolavori. Non a caso tra gli estimatori che riconobbero nel quadro del Pietro Rossi il valore rivoluzionario di questa svolta c’è Giuseppe Mazzini che definì l’artista “genio democratico” e “grande pittore idealista italiano del XIX secolo”.

Hayez dipinse la tela tra il 1818 e il 1820 mentre si trovava a Venezia, oberato di lavori di decorazione su commissione. Nei momenti di libertà si dedicava a un’opera su cavalletto per la quale prese spunto dalla lettura della Storia delle Repubbliche Italiane dei secoli di mezzo di Sismondi e dall’Histoire de la République de Venise di Laugier. Il pittore stava tentando una revisione del genere storico che si rifletteva anche nella ricerca dello stile: in una lettera all’amico e mentore Antonio Canova, Hayez spiega di aver seguito il suo consiglio di guardare ai maestri veneti del primo Rinascimento, Giovanni Bellini, Carpaccio, Cima da Conegliano, per l’uso dei colori e per le pose e la gestualità dei personaggi. Fu però non a Venezia, ma a Milano, all’esposizione dell’Accademia di Brera del 1820, che l’opera riscosse un grande successo, fu contesa tra diversi collezionisti e venne subito identificata come manifesto della pittura romantica. Istintivamente Hayez aveva saputo intercettare il gusto dell’ambiente artistico ambrosiano e dare voce all’afflato patriottico risorgimentale che stava infiammando la città in cui decise di stabilirsi. Trent’anni dopo, più o meno in concomitanza con l’incarico di titolare della cattedra di pittura all’Accademia di Brera, Hayez tornò a dipingere lo stesso soggetto. Questa variante, più composta e meno teatrale ma altrettanto coinvolgente, è la tela prestata per la mostra di Pontremoli da Banca d’Italia, e si ripete con cambiamenti minori nello studio preparatorio donato dallo stesso artista all’accademia milanese.

Hayez e Pietro Rossi

Protagonista dei tre quadri è il condottiero Pietro Rossi, signore di Parma, assediato a Pontremoli dagli Scaligeri. Nel 1336, viene raggiunto dall’invito della Repubblica di Venezia a prendere il comando delle proprie truppe per sconfiggere gli Scaligeri che stavano minacciando anche la Serenissima. La scena rappresenta il momento in cui Pietro ha ricevuto la lettera del doge Francesco Dandolo e la moglie e le figlie lo implorano di non andare. Questo episodio secondario del Trecento italiano aveva attirato Hayez perché si prestava a rileggere la storia dal punto di vista privato nel contrasto tra il dovere civile e morale e gli affetti familiari. La figura dell’eroe colta nel suo risvolto più umano dei sentimenti e del sacrificio ben risuonava con gli ideali romantici e risorgimentali.

La prima versione del dipinto è ambientata in uno spazio di filtro tra interno ed esterno che permette di inquadrare una porzione del castello con un’alta torre merlata e una vista della città attraverso l’arco ogivale d’ingresso e il rosone della finestra. Nella corte si intravedono già radunati i cavalieri armati. Hayez gioca sulla differenza di luminosità tra dentro e fuori e si sofferma sui dettagli dei muri di pietra e mattoni, deteriorati in certi punti secondo un’idea pittoresca di Medioevo. Il gruppo principale delle figure, come su un palco di teatro, è evidenziato da un fascio di luce che si proietta sul pavimento. Al centro Pietro, con indosso l’armatura, pronto a partire, è trattenuto solo dalla disperazione della moglie e delle figlie. Nella posa grave e sobria del condottiero, il pittore esplicita il suo conflitto interiore mettendogli la missiva veneziana nella mano destra posata sull’elsa della spada, mentre la sinistra sorregge il volto pensoso, con un gesto tipico del dilemma. Il pathos drammatico è affidato alle tre donne, una piangente e le altre due inginocchiate imploranti. La più enfatica è la giovane figlia con le vesti chiare, che la rendono il fuoco più luminoso della composizione, e le mani giunte: Hayez la ritrae di schiena rispetto al pubblico, ponendola in relazione diretta con il padre che ha il viso rivolto verso di lei. Alle sue spalle il messaggero del doge e gli uomini d’armi fanno da contrappunto ricordando al Rossi le altre responsabilità che lo chiamano. La seconda versione, che nella sostanza è compiuta nella tela di Banca d’Italia e abbozzata nello studio preparatorio dell’Accademia di Brera, presenta minore concitazione. Nel quadro finito, la luminosità più soffusa e la scelta di relegare lo sfondo urbano a un piano più distante, appena accennato attraverso i vetri piombati della finestra, riportano la scena a una dimensione più intima e raccolta e il dissidio interiore a un livello più psicologico. L’espressività della gestualità è più contenuta e la relazione principale è spostata tra Pietro e la moglie Ginetta Fieschi, ora centro luminoso del quadro e in piedi accanto al marito, pareggiandone la solennità e il peso delle ragioni che lei sostiene. Di particolare eleganza, oltre all’intreccio degli sguardi tra i due protagonisti, quello delle braccia, con il sinistro di lei morbidamente appoggiato su quello di lui che impugna la lettera. Le giovani figlie della versione precedente sono qui trasformate in bambine, che subiscono tristi e impotenti le decisioni degli adulti e rendono ancora più evidenti i doveri familiari di Pietro in opposizione a quelli politici. Nello studio, Hayez ripropone questi elementi e li conferma riproponendo nell’angolo sinistro, in posizione arretrata, il contrasto tra la dolcezza della maternità e la durezza delle armi nell’accostamento di un soldato e una donna con un bambino in braccio.

Hayez e Pontremoli

L’appuntamento dedicato al Pietro Rossi consolida l’attività espositiva che il Comune di Pontremoli sta conducendo negli ultimi anni nella Sala Sindaci. Nel 2024 e poi all’inizio del 2025, grazie alla collaborazione con Banco BPM, alcune tele rinascimentali a tema mariano della collezione del gruppo bancario hanno dato vita alla mostra Magnificat. Questa iniziativa dava seguito all’esperienza fatta con Uffizi Diffusi che aveva portato nella cittadina della Lunigiana un altro quadro di Hayez, Il Conte Arese Lucini in carcere, che raffigura l’aristocratico imprigionato nello Spielberg per aver partecipato ai moti risorgimentali del 1820-1821. Arese, collezionista e mecenate, era stato tra coloro che avevano provato ad aggiudicarsi il Pietro Rossi, acquistato invece da Giorgio Pallavicino Trivulzio. Quest’anno la Pinacoteca di Brera ha raccolto il testimone e, coinvolgendo l’Accademia e Banca d’Italia, è riuscita a riunire tutte e tre le versioni del quadro, permettendo di cogliere come, a parità di soggetto, l’artista avesse evoluto in tre decenni il proprio linguaggio. Inoltre, quella di Pontremoli è la prima tappa del progetto Grande Brera “in Tour” che, spiega Angelo Crespi, Direttore Generale Pinacoteca di Brera, Biblioteca Braidense e Palazzo Citterio, “vuole ricongiungere le opere ai luoghi che erano i siti destinati alla loro collocazione originaria risarcendo in tal modo, seppur temporaneamente, la sottrazione effettuata durante le requisizioni napoleoniche oppure, come in questo caso, riallestendo le ambientazioni sceniche rappresentate in esse. Un modo definitivo per realizzare l’idea del museo diffuso”.