di Maddalena Libertini
In occasione dell’anniversario della fine della II guerra mondiale, il Museo d’Arte Moderna francese presta per la prima volta 51 opere, da Monet a Braque, in un progetto di collaborazione con il Museo M9. Entrambe le città furono massicciamente bombardate nel 1944.
Una giovane donna dalla carnagione vellutata, i capelli biondo-ramati, lo sguardo placido, leggermente languido, su uno sfondo reso con pennellate morbide e sfumate, in toni rosati, azzurri e giallo: L’escursionista di Pierre-Auguste Renoir è l’immagine che è stata scelta per rappresentare la mostra Arte Salvata. Capolavori oltre la guerra dal MuMa di Le Havre che si tiene al Museo M9 di Mestre fino al 31 agosto e di cui Intesa Sanpaolo è main sponsor. È però un altro pittore della schiera degli impressionisti, Claude Monet, uno dei protagonisti della storia legata a questa esposizione, una storia che parla della nascita di due movimenti artistici francesi, impressionismo e fauvismo; dei paesaggi delle coste della Normandia; di Le Havre, città simbolo della seconda rivoluzione industriale del XIX secolo e poi della ricostruzione dopo la II Guerra Mondiale; e di un museo come polo identitario di una comunità.
Le Havre e il suo museo
Situati in Normandia sull’estuario della Senna, a 200 km da Parigi, e affacciati sul canale della Manica, Le Havre e il suo porto conobbero il periodo di massimo sviluppo nell’Ottocento: il momento florido per i commerci portò prosperità alla città e alla ricca borghesia mercantile che la governava, innescando una serie di interventi di ammodernamento urbano. È in questo frangente che nel 1845 viene aperto il Museo di Belle Arti con una finalità politica: Le Havre non possiede opere da ospitarvi ma la sua classe dirigente è decisa a dimostrare il proprio successo ed elevare lo status del centro di provincia anche attraverso un’azione culturale. I mercanti si trasformano in mecenati e collezionisti appassionati, più aperti alla scoperta e al sostegno di artisti locali ed emergenti rispetto ai circuiti espositivi consolidati. Con la seconda generazione, all’inizio del Novecento, si crea intorno al sindaco illuminato Théodule Marais una commissione deputata alle acquisizioni, in particolare delle opere impressioniste e di altre nuove scuole. Vi partecipano Georges Dussueil, Charles-Auguste Marande, Olivier Senn, Pieter van de Velde, nomi che ricorrono nelle didascalie dei quadri esposti a Mestre, insieme alla dicitura “Acquistato dalla città”, perché innescano un meccanismo di donazioni e lasciti e attivano una rete di relazioni che è stata fondamentale per costituire la collezione oggi posseduta dal MuMa. L’escursionista è parte del lascito di Marande del 1936 mentre van de Velde nel 1903 convince l’amico Camille Pissarro a trasferirsi tre mesi a Le Havre per il suo progetto di dipingere i porti francesi: delle 24 tele che realizza, due vengono comprate dal museo per 4000 franchi.
Monet e i suoi maestri
Il Parlamento di Londra, effetto nebbia è uno dei quadri emblematici della produzione di Claude Monet, parte di una serie di vedute londinesi sul Tamigi, realizzate tra il 1900 e il 1904. È una delle quattro opere dell’artista in mostra e, soprattutto, una delle tre che nel 1910, quando le sue quotazioni sono irraggiungibili per un acquisto da parte delle casse civiche, Monet dona a Le Havre a testimonianza del legame che l’artista sente di avere con la città. Qui Monet è giunto con la famiglia all’età di 5 anni, proprio in quel 1845 che vede la nascita del Museo di Belle Arti, e ha passato gli anni della formazione scolastica. Qui ha mosso i primi passi nell’arte e conosciuto Eugène Boudin, che insieme a Johan Barthold Jongkind egli riconosce come suoi maestri, precursori di quella capacità di rendere il valore atmosferico en plein air di cui Monet diverrà il campione assoluto. I cieli, le nuvole, le scogliere di Boudin che si possono vedere in mostra a Mestre sono paradigmatici della suggestione esercitata sugli artisti, e sul pubblico, dai paesaggi delle coste francesi settentrionali. Boudin era stato uno dei giovani promettenti su cui la città aveva puntato, fornendogli nel 1851 una borsa di studio triennale e acquistando la sua prima opera esposta al Salon del 1859. Alla sua morte, nel 1898, lascia alla città 60 tele e 180 studi e schizzi che fondano il nucleo “moderno” intorno al quale si sono andate ad aggregare le opere impressioniste e post impressioniste.
Dufy e gli altri
Raoul Dufy e Othon Friesz sono entrambi originari di Le Havre e frequentano la scuola di Belle Arti cittadina prima di perfezionarsi a Parigi. Tra il 1905 e il 1906 aderiscono al fauvismo. Sono loro ad attirare gli amici e colleghi Albert Marquet e Charles Camoin a Le Havre, rendendola un avamposto dell’avanguardia. Di questo sodalizio la mostra in M9 presenta alcune marine, soggetto che rimarrà una costante nella carriera di Dufy pur nell’evoluzione del suo stile. È ai lavori di questi pittori più giovani e a quelli dei post impressionisti d’Espargnat, Maufra e Moret, economicamente più abbordabili, che è interessata in quegli anni la commissione deputata alle acquisizioni. Una lucidità e una lungimiranza che si rinnovano nel 1925 quando il nuovo conservatore Alphonse Saladin invia a 50 artisti una lettera in cui chiede loro un’opera da destinare all’istituzione della Galerie des Modernes in cambio di un compenso fisso di 250 franchi. L’intento di Saladin è di scommettere su nuovi talenti quando sono ancora accessibili per il limitato budget a sua disposizione. Tra le 75 opere inviate in risposta a questo appello c’è lo studio La sera, vicino alla torre di Maurice Denis. Il conferimento del lascito di 74 dipinti, 25 disegni e una scultura da parte del commerciante di cotone e collezionista Charles-Auguste Marande sancisce in modo indiscutibile la rilevanza delle raccolte del Museo che, alla vigilia della II Guerra Mondiale, contano oltre 1400 pezzi.
La rinascita postbellica
Nel 1942 le opere del Museo vengono evacuate per sicurezza data la loro rilevanza storico-artistica ma soprattutto per quello che rappresentano per la comunità di Le Havre. Nel settembre 1944 la città è pesantemente bombardata dalle forze alleate nel tentativo di indebolire l’occupazione nazista, l’80% degli edifici viene raso al suolo. Prospiciente il porto, il Museo è uno di essi. Le distruzioni sono testimoniate dalle foto in mostra a M9 che stabiliscono un parallelo con la storia di Mestre. Obiettivo nevralgico insieme a Porto Marghera, anche Mestre è duramente colpita dalle bombe, in particolare alla fine di marzo del 1944.
Le Havre diventa un luogo simbolo della profonda ferita inferta dalla guerra. La sua ricostruzione assume una urgenza politica: si vuole farne una città manifesto della ripresa dell’intera nazione e, di conseguenza, della architettura postbellica francese sotto la guida di Auguste Perret. In questo programma, la cultura non può che avere un peso cruciale. Nel 1952 si apre il cantiere del nuovo museo che nel 1961 è il primo a essere inaugurato in Francia dopo la fine del conflitto mondiale. A presiedere alla cerimonia è l’allora ministro della cultura André Malraux a cui il MuMa è intitolato (Musée d’art moderne André Malraux). Le raccolte d’arte possono tornare a casa nel nuovo parallelepipedo vetrato che riprende la missione del suo predecessore e continua ad accogliere nuove opere. Nel 1962 Émilienne Dufy, vedova dell’artista, conferisce al MuMa un lascito del marito; nel 2004 arriva la collezione di Olivier Senn. La mostra in M9 si chiude con un olio su tela dipinto da Georges Braque nel 1956, Barca sulla riva, donato nel 2008 dalla Florence Malraux, figlia del ministro.
Arte, Patrimonio dell’Umanità
A ottanta anni dalla fine della II Guerra Mondiale la vicenda del MuMa è un invito a considerare il legame tra arte, memoria e identità di una collettività, il ruolo di aggregazione e di riconoscimento che un museo può svolgere e la capacità di rigenerazione di un territorio che la valorizzazione della cultura può attivare.
Lo ha confermato Geraldine Lefebvre, Direttrice del MuMa e curatrice della mostra insieme alla storica dell’arte Marianne Mathieu: “Fin dalle origini, la città ha scelto la cultura come atto fondativo, scommettendo sulla costruzione di un museo ancora prima di avere delle collezioni da ospitarvi. Oggi possiamo dire che quella scommessa è stata vincente: la capacità di un’istituzione culturale di custodire e rigenerare la cultura di un territorio, che nel secondo dopoguerra è stata la leva per la ricostruzione del museo e della città stessa, è un aspetto che abbiamo subito riconosciuto anche in M9. Per questa ragione siamo felici di esporre qui le nostre opere in un’occasione molto speciale per noi”.
Una visione sostenuta anche da Francesca Nieddu, Direttrice Regionale Veneto Est e Friuli Venezia Giulia di Intesa Sanpaolo: “Siamo soddisfatti di aver contribuito alla realizzazione di questa mostra che, oltre a essere una prestigiosa iniziativa culturale per la città di Mestre, è un’operazione di recupero della memoria. Attraverso i capolavori che si sono salvati dalla distruzione della guerra, si comprende come l’arte e la bellezza permettano di guardare al futuro e ricostruire quel patrimonio identitario che noi, oggi, ci impegniamo a tutelare e diffondere. La nostra banca, infatti, considera l’arte una risorsa strategica del Paese in grado di innescare processi di crescita anche sul piano sociale ed economico”.