è cultura!
Festival è cultura!

Tanti appuntamenti in palinsesto aspettando la settimana del Festival
dal 11-18 ottobre in tutta Italia

ABI - Associazione Bancaria Italiana
Festival è cultura!

Tanti appuntamenti in palinsesto aspettando la settimana del Festival
dal 11-18 ottobre in tutta Italia

Alla ricerca del tempo sospeso

Alla ricerca del tempo sospeso

9 Maggio 2025

di Maddalena Libertini

A Palazzo Reale a Milano una mostra antologica passa in rassegna tutte le fasi dell’attività artistica di Felice Casorati, interprete privilegiato della poesia misteriosa della realtà. Quadri, ma anche sculture, opere grafiche, bozzetti per scene e costumi e il progetto decorativo-architettonico per il teatrino dell’imprenditore mecenate Riccardo Gualino

Non bisogna lasciarsi trarre in inganno da Felice Casorati. “Numerus, Mensura, Pondus” (numero, misura, peso) è il motto che rivendica come contrassegno della propria arte: discendente da una famiglia di medici e matematici, in una conferenza tenuta nel 1953 non si dispiace di essere stato associato, in una carriera durata mezzo Novecento e premiata da un riconoscimento che non ha mai conosciuto tentennamenti, a una razionalità quasi scientifica, tramutata dai detrattori in accusa di freddezza e cerebralismo. Se, tuttavia, prima ancora che alle sue opere, si guarda a come si è avvicinato in gioventù alla pittura, appaiono delle incrinature in questa immagine composta e ponderata. La musica è stata il suo primo amore ma nel 1901, diciottenne, a causa di una malattia nervosa dovuta al troppo impegno in questo studio, è costretto a interromperlo. Durante la convalescenza in campagna, inizia a dipingere e da allora viene preso, come dice lui stesso, da questo altro “demone” che non lo abbandonerà più. Nello iato tra un temperamento appassionato e la ricerca di quiete, ordine e rigore – non a caso sceglierà Torino come città di elezione mentre amerà poco Napoli – sta l’arte di uno dei più importanti pittori italiani della prima metà del secolo scorso al quale è dedicata la retrospettiva in corso fino al 29 giugno a Palazzo Reale a Milano. Curata da Giorgia Bertolino, Fernando Mazzocca e Francesco Poli, organizzata da Marsilio Arte con la sponsorizzazione di BPER Banca, con un esaustivo allestimento di oltre 100 opere suddivise in ordine cronologico la mostra procede attraverso le diverse stagioni della vita e della produzione di Casorati. In questo riepilogo è possibile seguire il filo dell’evoluzione del suo linguaggio artistico che non teme la trasformazione ma mantiene fede ad alcuni elementi ricorrenti e, in fondo, a una idea nitida di pittura.

Gli esordi

Nato nel 1883 a Novara e figlio di un militare, Felice Casorati cresce seguendo con la madre e le due sorelle le peregrinazioni del padre. I suoi inizi artistici sono a Padova ma quello che lui e la critica considerano l’esordio ufficiale è la prima partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1907 con il celebre Ritratto della sorella Elvira che ora accoglie il visitatore all’ingresso della mostra di Milano. In quello stesso anno la famiglia si trasferisce a Napoli fino al 1911, per poi spostarsi a Verona. Sin da questa prima fase si evidenzia uno dei suoi connotati principali: lui, che si racconterà come qualcuno chiuso a lavorare nell’isolamento del suo studio, è particolarmente ricettivo agli stimoli di artisti del passato e suoi contemporanei. Visita i musei, studia i maestri, Bruegel, Botticelli, Tiziano, dimostra di essere aggiornato sulle tendenze e gli artisti in voga, comprende, assorbe e rielabora. In questi anni giovanili le influenze sono più facili da rilevare, quasi omaggi che tributa agli artisti che ammira, come Klimt che ha modo di apprezzare soprattutto alla Biennale del 1910. Poi si fanno più rarefatte e raffinate perché niente nella sua opera è interpretato né interpretabile in modo letterale. Simbolismo, poi Metafisica, Ritorno all’ordine o Realismo magico: Casorati li attraversa, li respira e li oltrepassa senza deviare da una traiettoria originale e personale.

Tra i capolavori di questo periodo c’è uno dei suoi quadri più famosi, Signorine (1912), che dà prova di molte sue abilità: l’intensità delle espressioni dei volti che definiscono i caratteri dei personaggi, la costruzione lineare della composizione arricchita con il virtuosismo minuzioso dei dettagli, la resa atmosferica e la profondità dei piani a cui sovrappone la rappresentazione di una realtà che allude o rimanda ad altro, l’incarico alla figura femminile di farsi portatrice di questi significati nascosti e la capacità di dotare le cose inanimate di una presenza eloquente. Le quattro giovani donne raffigurate in piedi e identificate dal diverso abbigliamento, dagli oggetti e dai cartigli con i nomi sono quattro personificazioni ideali che rivivificano la tradizione dell’allegoria, come fatto anche dalla secessione viennese, ma qui con l’accento lirico di un componimento cortese.

Sopravvivere alla Grande Guerra

La Prima guerra mondiale segna una battuta d’arresto. Nel 1915 viene arruolato e inviato in val Lagarina in Trentino, nel 1917 il padre si suicida, tra il 1918 e il 1919 Felice riprende a dipingere e stabilisce definitivamente la famiglia a Torino. Le grandi tempere L’attesa, Ritratto di Maria Anna De Lisi, Ragazza con scodella, L’uomo delle botti e Mattino o Colazione iniziano a definire una cifra che il critico e amico Lionello Venturi riassumerà così: “Si potrebbe affermare che per attuare il suo programma, dal 1919 a oggi, Casorati abbia costantemente dipinto lo stesso quadro: una o più immagini umane dominate da uno spazio prospetticamente costruito”. Una affermazione vera ma mutevole perché, epoca per epoca, assume connotazioni diverse: nel clima luttuoso immediatamente successivo al conflitto bellico, la temperatura di questo gruppo di opere tramette inquietudine esistenziale, i colori della sua tavolozza si spengono, la chiave onirica delle sue tele si accentua in una direzione cupa di turbamento, lo spazio fisico assume una dimensione ancor più mentale, enfatizzata da prospettive acceleratissime e piani paurosamente inclinati, le figure diventano spettrali, le fisionomie stilizzate e gli occhi sono vuoti o chiusi.

Torino, Gobetti, Venturi e Gualino

A fare da contraltare a questo nucleo drammatico arriva nel 1922 un altro quadro manifesto, Silvana Cenni che, pur rimanendo su sfumature pallide, terrose e grigie, ripristina una compostezza idealizzata dei toni e un’aura magica sganciata dal tempo. Nel disegno geometrico dell’impianto, determinato dalla fuga centrale sullo sfondato del paesaggio nella finestra, è incastonata in posizione frontale la figura femminile seduta, solenne e ieratica come una pala d’altare e ispirata a Piero della Francesca. Come altre che dipinge e dipingerà, è un personaggio inventato con un nome di fantasia, creato per incarnare un mistero insolubile. 

A questi anni torinesi risalgono gli incontri con alcune personalità a cui si legherà strettamente come Piero Gobetti, Lionello Venturi e l’imprenditore Riccardo Gualino. È grazie a quest’ultimo che Casorati, in collaborazione con Alberto Sartoris e secondo un principio di sintesi delle arti, si cimenta nella progettazione di un ambiente architettonico: il teatrino privato della casa del collezionista e mecenate in cui la moglie Cesarina si esibisce con le amiche Bella e Raja Markman nella danza libera appresa da Isadora Duncan e il compositore Alfredo Casella dirige un concerto dedicato a Stravinskij. I membri della cerchia dei Gualino sono oggetto di una galleria di ritratti che testimoniano la conquista definitiva di uno stile moderno e insieme classicheggiante, per il quale riceve la decisiva consacrazione alla Biennale del 1924 con una sala tutta per sé.

Conversazioni

Dopo il successo veneziano si apre per Casorati un nuovo ciclo che è anche un giro di boa nella mostra milanese. Il quadro emblematico di questa svolta viene indicato dai curatori nella Conversazione platonica dipinta nel 1925, in cui un taglio ravvicinato inquadra una donna nuda sdraiata e addormentata, osservata voyeuristicamente da un uomo vestito seduto accanto. I critici hanno spesso rilevato come questa tela segni il progressivo abbandono dei richiami ai maestri classici e trasmetta una sensazione ambigua e intrigante di enigma, accentuata dal contrasto con il titolo. La posizione del nudo femminile disteso, che attraversa la storia dell’arte, amplifica l’impressione di un sottotesto da cogliere, di un ragionamento sul senso stesso della pittura, di ciò che si vede e di come lo si duplica nella rappresentazione. Non a caso, forse, l’elemento dello specchio, presente sin dalle Signorine, e del riflesso acquista ancor più rilevanza nei suoi dipinti. E forse così si spiega anche il suo maggior interesse per i generi tradizionali del paesaggio e della natura morta, rinvigoriti da una poetica del quotidiano. È lo stesso Casorati a scrivere nel 1928: “Pentolini bianchi, azzurri, rossi, scodelle aperte alla luce come i fiori, frutta palpitanti di vita e oggetti tutti dai più umili ai più ricchi, voi siete i modelli più docili e più esigenti degli artisti, voi potete servire alle più belle e più libere architetture”.

Gli anni trenta e oltre

Nella seconda parte dell’allestimento espositivo la successione delle sale parla di un artista che ha pieno possesso dei suoi mezzi e del suo repertorio compositivo e con una procedura combinatoria, oggi diremmo algoritmica, continua a farli evolvere. La messa in scena della posa è palese, non c’è bisogno di nasconderla; i piani inclinati non creano più vertigine ma costruiscono in sottofondo la struttura dello schema spaziale; la gestualità è teatrale e ripetuta (la mano portata al petto o sul capo); il nudo è esibito come topos della pittura che Casorati usa per esprimere una condizione esistenziale. Soprattutto dopo il matrimonio con la pittrice e allieva Daphne Maugham e l’acquisto del casolare di Pavarolo nella campagna intorno a Torino il controllo razionale si ammorbidisce lasciando introdurre dalle figure una nota sentimentale. Ne è un esempio il grande olio su tela Le sorelle Pontormo (1937), in cui riprende il tema di un consesso in un interno domestico, qui con una maggiore partecipazione emotiva e un senso di serena intimità. Non rinuncia però a valenze stranianti come la presenza del nudo di spalle.

Avviandosi alla conclusione la mostra dedica una sezione alle nature morte degli anni quaranta e cinquanta. Questo genere è stato in tutta la carriera di Casorati un ambito di sperimentazione e, con alcune tele cardine, ha segnato passaggi della sua ricerca come nel caso di Scherzo: Uova o Le uova sul tappeto verde (1914-1915) e poi Le uova sul cassettone (1920). Il soggetto ritorna in Uova sullo sgabello (1949), Uova e limoni (1950) e Uova su fondo rosso (1953). Con la neutralità del loro biancore e la loro forma tondeggiante, disposte sulle consuete superfici inclinate, le uova gli consentono di giocare sui contrasti cromatici, di suggerire la sensazione di precarietà dell’appoggio o di oscillare tra naturalismo e astrazione. Fanno parte del suo vocabolario anche maschere, teste di manichini, elmi che si orientano verso citazioni più metafisiche. L’ultimo capitolo della retrospettiva milanese, infine, si riconnette con la passione per la musica e dà conto della sua attività di scenografo e costumista che dal 1933 esercita per diverse produzioni teatrali. In mostra i bozzetti di alcune opere liriche e balletti realizzati tra il 1947 e il 1951, provenienti dall’Archivio Storico Artistico de La Scala.